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Tavolo N.19

di Jeffrey Blitz

Con Anna Kendrick, Rya Meyers, Charles Green, Lisa Kudrow, Craig Robinson, Tony Revolori, Amanda Crew, Wyatt Russell, Stephen Merchant, June Squibb, Jeffrey Blitz.

Titolo originale Table 19. Commedia, Drammatico (colore). Durata 87 min. Finlandia, U.S.A. 2017 ( 20th Century Fox)

Tavolo N.19

C’è sempre un tavolo, ai pranzi di nozze, dove gli sposi confinano quegli ospiti che hanno accettato l’invito anche se c’era da sperare che rifiutassero: la vecchia tata di quando la sposa era bambina, mai più vista per decenni, una coppia di conoscenti incrociati per lavoro, l’adolescente che non batte chiodo, il nipote galeotto, l’ex del fratello della sposa, che potrebbe fare una scenata da un momento all’altro. E proprio quest’ultima, Eloise, sa bene cosa significhi sedere al tavolo numero 19, perché i tavoli li ha decisi lei stessa, quando era ancora “di famiglia”: significa che chi siede lì potrebbe anche sparire e nessuno se ne accorgerebbe.

È da questa eventualità, naturalmente, che prende vita l’occasione del film firmato da Jeffrey Blitz e scritto dai fratelli Duplass, qui in stato di parziale annebbiamento creativo, quasi fossero loro stessi reduci da uno sfibrante banchetto e da troppi brindisi, che li hanno lasciati rallentati nel pensiero e nell’azione, e inclini ad un’innocua malinconia.

Il film, infatti, deve ancora realmente cominciare che già appare lento, incerto, anche sull’abito da indossare: meglio propendere per il comico, genere wedding crashers, o per l’antiparabola indie sulla dannazione dell’essere nati looser e non poter far niente per cambiare le cose? E ancora, in una commedia sul matrimonio: lieto fine sì o lieto fine no? Mentre ci pensano, regista e sceneggiatori invitano la protagonista, Anna Kendrick, a parlare più velocemente che può, per oscurare la staticità degli eventi, ma è un espediente che non si può tirare all’infinito e poi la stessa Kendrick è in se stessa una spia del problema, avendo impostato la sua carriera su personaggi liminari, di dropout solo apparentemente tali, dentro film che al cinema indipendente duro e puro occhieggiano terrorizzati, da debita distanza.
Con Tavolo 19 siamo in quel limbo lì, che non sceglie fino alla fine da che parte stare, in cui l’importante è portare a casa l’immagine-simbolo del gruppo di emarginati che vedono sfilare la passeggiata degli invitati mentre siedono su un tronco d’albero in disparte, e poco importa come siano arrivati a fare gruppo e cosa faranno insieme, basta che ognuno di loro abbia una buona dose di inettitudine sul groppone (o un destino ancora più inclemente) e il gioco è fatto. A distrarci definitivamente dalle lacune del racconto basteranno lo sguardo dolce di Lisa Kudrow e quello spaesato di Stephen Merchant, oppure il discorso urlato e commuovente dell’eroina che ora vuole un amore imperfetto, perché ogni giudizio sugli altri irrimediabilmente lo è, ed è bello potersi sbagliare per poi scoprire la verità sotto l’apparenza.
L’invito è servito: si può accettare la visione con piacere o rifiutare con rammarico

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