Con Ryan Gosling, Rooney Mara, Michael Fassbender, Natalie Portman, Cate Blanchett, Holly Hunter, Berenice Marlohe, Val Kilmer, Lykke Li, Olivia Grace Applegate, Iggy Pop, Patti Smith.
Titolo originale Song to Song. Drammatico (colore). Durata 129 min. usa 2017 (Lucky Red)
Austin, Texas. Città di musica, artisti, produttori. BV, musicista e cantautore, conosce Faye ad una festa nella villa di Cook, giovane e ricco produttore che gioca con i suoni e con le persone. BV non sa che la ragazza e Cook hanno avuto una relazione, che non è ancora del tutto conclusa. Durante un viaggio insieme, cresce l’amore tra BV e Faye, l’amicizia con Cook, il ricatto del non detto. Il triangolo si complica, entra in scena Rhonda, una cameriera, e Cook la sposa, condannandola all’infelicità.
Austin è la città dove Malick vive e dove anche lui, come tanti, ha cercato un nuovo inizio. E proprio la figura retorica del “ritorno” è al centro del film, visibile, come già nei titoli precedenti, nella tecnica del ritorno del regista sulla stessa scena, a distanza di tempo, ma anche come movimento strutturale del film nel suo insieme, che trova una conclusione nel ritorno di uno dei protagonisti alla famiglia, alla natura e ad una vita in cui l’arte e la bellezza ci sono ma non sono più strumento, manifesto, maschera sociale. E ritorno, nuovo inizio significa anche e soprattutto, sul piano tematico, nuova consapevolezza di sé. “Non avevo il cuore giusto” dice di sé il personaggio di Ryan Gosling alla vigilia della nuova scelta di vita, mentre Patti Smith in qualche modo assolve il personaggio di Rooney Mara dal suo penoso autocolpevolizzarsi: “hai solo fatto un errore”.
La tecnica non cambia, c’è la ricerca dell’improvvisazione, qui più apertamente paradossale e forzata nelle scene che preludono al sesso (che resta sempre fuori film), c’è il galleggiamento avvolgente della macchina da presa e ci sono le voice over che raccontano i personaggi attraverso la loro intimità, ma il film è meno criptico di altri, si estranea meno del solito dai suoi protagonisti, ruota attorno ad una verità difficile da raccontare ma ciò che rimane non detto, cinematograficamente parlando, o affidato a correlativi oggettivi non umani, metaforici, è meno presente, meno frequente che altrove. Tutto questo può essere salutato più o meno felicemente dallo spettatore malickiano, ma è un cambiamento presente, così come lo sono le incursioni tra le pieghe del film degli artisti noti della scena del rock e del punk nei panni di loro stessi, che illuminano improvvisamente, tutto intorno a loro, la sottigliezza del filtro che separa la ripresa dalla finzione, gli attori dai personaggi, l’occasione reale da quella filmica.