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LA VITA È UNA DANZA

di Cédric Klapisch.

Con Marion Barbeau, Hofesh Shechter, Denis Podalydès, Muriel Robin, Pio Marmaï.

Titolo originale . Commedia, Drammatico (colore). Durata 117 min. Francia, Belgio 2022 (Bim Distribuzione)

LA VITA È UNA DANZA

Élise è un’étoile, ha ventisei anni, una fede salda nella danza e un fidanzato volubile. Turbata dal tradimento del suo compagno cade in palcoscenico, rovinosamente. Il referto medico è crudele e mette in pausa la sua carriera. Riposo forzato per due anni. Tradita dal suo corpo e da chi ama, è pronta a rinunciare e a seguire un’amica e il suo compagno, cuochi itineranti, in Bretagna. Insieme preparano i pasti per una maison di artisti che ospita per una stagione un coreografo israeliano (Hofesh Shechter!) e la sua compagnia. Tra legamenti e (nuovi) legami, per la ragazza si delinea un nuovo orizzonte. Un nuovo ritmo, elettrico e tribale, ancorato alla terra e al territorio.

Fagocitati da storie di gelosia e rivalità, nevrosi e rapporti psicotici dell’interprete col proprio ruolo, i ‘film di danza’ dimenticano sovente di raccontare la passione, l’amore per l’arte o la felicità inaudita che deriva dal controllare un gesto e un corpo che si fa veicolo di emozioni.

Ed è esattamente questa esultanza fisica che magnifica Cédric Klapisch, ponendo lo spettatore in posizione attiva fin dai ‘primi passi’. La vita è una danza, traduzione disneyana del titolo originale e lacaniano (En corps), si apre su una lunga sequenza che avanza tra scena e quinte, senza parole e senza elementi drammatici, solo note che conducono direttamente alla protagonista, giovane étoile impegnata ne La Bayadère. Come se il regista facesse eco alla bellezza pura della disciplina prima di introdurre il suo racconto.

Dieci minuti di audacia grammaticale in cui ricorre come Degas a prospettive oblique e punti di vista decentrati, taglia le figure e i margini della scena rendendo più dinamica la struttura d’insieme dello spazio. E in quello spazio coglie la danza in volo, un attimo prima che la sua eroina precipiti dal cielo e nella disperazione. Il corpo spezzato con la caviglia. Da quel momento il film scende dal palcoscenico e dalle punte per riparare fuori porta, dentro un paesaggio rurale e orizzontale.

Quello che interessa a Klapisch è il processo di ricostruzione e il passaggio tra due mondi, la danza classica e quella contemporanea, che alcuni giudicano inconciliabili. L’autore, rinnova il suo amore per la danza, rivelato nei suoi documentari (Aurélie Dupont, l’espace d’un instant, Dire Merci), e l’affida questa volta alla fiction provando a schivare il positivismo a oltranza e facendo onore alla bellezza e all’utilità dell’arte

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