Titolo originale GUNDA. Documentario (colore). Durata 93 min. Norvegia 2020 ( I Wonder Pictures)
GUNDA
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Gli animali ci guardano. Una scrofa con la sua dozzina di piccoli appena nati, una pattuglia di galline avventurose e una mandria disinvolta di mucche. Sono protagonisti assoluti, non solo dell’azione in senso stretto, ma interpreti di sentimenti d’amore materno e di protezione, spirito di esplorazione, solidarietà e desiderio di libertà. Denominatore comune: una spiccata fotogenia e una certa tendenza a restituire lo sguardo verso la macchina da presa.
In direzione contraria al sistematico processo disneyano di antropomorfizzazione degli animali, Gunda lavora sulla loro innata, strutturale espressività.
Gunda è il nome che il documentarista di Leningrado Viktor Kossalovsky attribuisce col titolo al suino che conosciamo nelle prime inquadrature. Il film non ha didascalie, voce over introduttiva o esplicativa che forniscano alcun dato allo spettatore. Sgombro anche da musica e dialoghi, il film registra ed esalta i grugniti dei suini, il chiocciare delle pennute, il muggito dei bovini. Sparuti rumori lontani di fondo, per lo più di insetti, tra fango e paglia. Non ci sono umani, né in campo né fuori campo, e per un preciso motivo: riconsegnare agli animali l’identità da primattori che loro spetta e che gli è ancora negata.
Terzo atto di un’ipotetica trilogia che comprende i precedenti Viva gli Antipodi! e Aquarela (entrambi alla Mostra del Cinema di Venezia, nel 2011 e nel 2018) Gunda è cinema al suo stato più puro.