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My Name Is Adil

di Adil Azzab, Rezene Magda, Andrea Pellizzer

Con Husam Azzab, Hamid Azzab, Adil Azzab, Hassan Azzab, Zilali Azzab, Mohamed Atiq Ali Tatawi, Hanan Filali, Aicha Badraoui.

Titolo originale My Name Is Adil. Drammatico (colore). Durata 74 min. Italia, Marocco 2016 (Produzione: Imagine Factory Distribuzione: Unisona)

evento promosso dall'Associazione Amnesty International - Perugia
My Name Is Adil

La storia vera di Adil, che decide di partire dal Marocco per raggiungere il padre in Italia. La frattura sarà però dolorosa.

 

 

Adil è un bambino che vive nella campagna del Marocco con la madre, i fratelli e il nonno capo-famiglia. È un mondo povero, dove fin da piccoli si lavora per ore nei pascoli, gli adulti possono essere rudi e studiare è un privilegio per pochi. Adil sa che restare in Marocco significa avere un destino segnato, quello dei giovani pastori invecchiati precocemente che vede intorno a sé. Stanco delle angherie dello zio e del ristretto orizzonte che si vede davanti, il ragazzino a 13 anni decide di raggiungere il padre, El Mati, emigrato da anni in Italia per lavorare e mantenere la famiglia. Andarsene, però, è anche una frattura, una separazione dolorosa dalla propria storia, dai propri affetti e dalla comunità.

UN FILM SINCERO CHE INSEGNA A CAMMINARE CON LE SCARPE ALTRUI, A COMPRENDERE LA POVERTÀ, I SOGNI E IL DOLORE DEL DISTACCO.

Recensione di Giancarlo Zappoli

Adil è un bambino marocchino che vive in campagna. Il padre è venuto in Italia per cercare lavoro ed è il denaro che manda a casa a consentire a moglie e figli di andare avanti. Adil è però stato requisito dallo zio come guardiano delle pecore e l’uomo non gli riserva certo un trattamento di favore ma lo tratta quasi come uno schiavo. Finché un giorno Adil a 13 anni decide di raggiungere il genitore in Italia. La sua vita cambierà ma il senso di separazione dalle proprie radici si farà sentire.
Ci sono film dalla struttura semplice e lineare che sanno offrire allo spettatore più occasioni di riflessione di altri che nella complessità della struttura credono di trovare il loro fondamento.

In questo caso siamo di fronte a una vicenda che ci viene subito dichiarata come realmente accaduta e a un protagonista da tempo integrato nella nostra società che ricorda la propria infanzia.

Tanto sono affascinanti gli spazi in cui il piccolo Adil agisce quanto non lo è la vita che è costretto a condurre. Vittima di uno zio violento (la memoria va a Padre padrone dei Taviani) che lo costringe anche a lottare con i coetanei mettendo in palio del tonno in scatola, il bambino può trovare nella madre conforto ma scarsa protezione mentre il nonno lamenta l’assenza del figlio che è andato in Italia abbandonando i campi. Però il denaro che invia è utile e c’è chi in famiglia (sempre lo zio) ne vorrebbe sempre di più.

Mentre si assiste alla vita di Adil non possono non venire alla mente storie analoghe che il cinema, la letteratura e, innanzitutto, la Storia ci hanno raccontato a proposito di quando erano i nostri padri a migrare e non solo dal Sud ma anche da quel Nordest oggi in parte così chiuso a qualsiasi inserimento. Bene ha fatto Edgar Reitz quando è tornato a girare un nuovo capitolo della sua Heimat realizzando quello che potremmo definire un prequel delle vicende della famiglia Simon. Lì si ricordava ai tedeschi di memoria corta che nell’800 anche dalla nazione oggi trainante e dominante nell’economia europea partivano migranti alla volta del Brasile in cerca di quello che in patria non potevano avere: un minimo di sicurezza economica.

 

Programmazione film
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TERMINATA