Con Ciro Giustiniani, Luca Rubagotti, Seck Bamba.
Titolo originale Morire di lavoro. Documentario (colore). Durata 88 min. Italia 2008 (I Cammelli S.a.s.)
Iniziativa del Presidio “Libera Unipg”
Trama:
Documentario che indaga sulla realtà del settore delle costruzioni in Italia, protagonisti i lavoratori e i familiari di lavoratori morti sul lavoro. La trama narrativa si sviluppa attraverso i racconti e le testimonianze dei protagonisti, ripresi in primo piano, che guardano in macchina. Altro elemento espressivo sono le voci di tre attori, due italiani e un senegalese, che interpretano ciascuno il ruolo di un lavoratore morto in cantiere. Nel film si parla di incidenti mortali nei cantieri edili, dell’orgoglio del lavoro, di come si è appreso il mestiere, della sicurezza e della sua mancanza, di lavoro nero, di caporalato.
Morire di lavoro
Una carriera da documentarista impegnato quella di Daniele Segre che, ben prima della tragedia della Thyssenkrupp dello scorso Dicembre, aveva deciso di realizzare “Morire di lavoro” assieme alla propria casa produttrice dopo che i principali network televisivi (pubblici e privati) e cinematografici rifiutarono il progetto. Solo ora il tema delle morti bianche è finalmente all’ordine del giorno (purtroppo più per i media che per i politici) un film come questo riceve la giusta attenzione che merita con tanto di presentazione presso quella Camera dei Deputati il cui presidente, assieme a quello del Senato, decide i vertici della già tirata in ballo Rai.
Per raccontare la drammaticità dell’argomento Segre punta sui visi e sulle parole dei protagonisti, interviste su sfondo scuro che narrano episodi, atteggiamenti, cause ed effetti che regolano un ambiente così scarsamente affrontati. Si parte dai racconti di familiari delle vittime e si arriva a chi sconta ogni giorno le conseguenze di un incidente spesso preventivabile, passando per considerazioni generali sull’avidità di molti impresari e all’assenza dello Stato. Ne esce un film per certi versi radiofonico dove l’aspetto visivo serve per documentare l’originalità delle storie narrate. Negli occhi e nelle facce degli oratori emerge quel misto di forza di volontà e disperazione che contraddistingue chi è pronto a tutto pur di portare onestamente dei soldi a casa e sopravvivere. Gente disposta ad emigrare solo per qualche mese al nord all’apertura di un cantiere (i cosiddetti “trasfertisti”) lasciando la famiglia al sud e che non può aiutare un collega vittima di un incidente per il timore che poi si venga licenziati. Un mondo di uomini dove dopo aver lavorato per anni non ci si può permettere di sognare una pensione perché essere messi in regola è un sogno che non ci si può permettere. Una tragedia sociale che riguarda, ad intensità diverse, tutta l’Europa e che proprio per la sua semplicità in termini di soluzione, sembra impossibile che non gli si metta un freno. Basterebbe così poco.
La frase: “Io quella telefonata l’aspettavo con un sorriso e mi arrivò invece con la morte”.
Andrea D’Addio