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Les sauteurs

di Abou Bakar Sidibé, Moritz Siebert

Titolo originale Les sauteurs. Documentario (colore). Durata 80 min. Danimarca 2016 (I Wonder Pictures, Unipol Biografilm Collection, ZaLab)

C'è vita aldilà del muro. Ma ce n'è parecchia anche al di qua: una vita ammassata e precaria, ma piena di progetti
Les sauteurs

Progetto “Filemone e Bauci”, 

Arcisolidarietà Ora d’aria Perugia

sostenuto con i fondi Otto per Mille della Chiesa Valdese

Nel nord del Marocco si trova l’enclave spagnola di Melilla: uno scorcio d’Europa in terra africana. Sulla montagna che domina Melilla vivono diverse migliaia di migranti africani pieni di speranze, osservando la frontiera, il sistema di recinzioni che separano il Marocco e la Spagna. Abou, originario del Mali, è uno di loro – il protagonista davanti la camera, ma anche colui dietro la camera stessa. Per oltre un anno, Abou ha provato incessantemente a oltrepassare la recinzione. Alla frontiera, i migranti devono affrontare il filo spinato, uno spray urticante e atteggiamenti brutali da parte delle autorità. Dopo ogni fallimento, tornano sul Monte Gurugù, perlustrando i dintorni alla ricerca di cibo, cercando di mantenere un qualche tipo di ordine nel campo e di ricostruire la loro fiducia. Alcuni si arrendono e tornano a casa, altri non fanno più ritorno dalla frontiera. Osservando attraverso l’obiettivo, Abou trova gradualmente la sua modalità di espressione e un senso a ciò che vede. “Quando filmo riesco a sentire di esistere”. Ma dopo 16 mesi sulla montagna, Abou si trova sul punto di subire un tragico incidente alla frontiera. Tornare in Mali non è un’opzione per lui, e Abou diventa ancora più determinato nel rincorrere il suo sogno di una vita migliore in Europa.  Mentre Abou ci riconsegna l’ardua lotta per la dignità umana e la libertà ai piedi di una delle frontiere più militarizzate d’Europa, Les Sauteurs rappresenta in definitiva un film sulla legittimazione di un uomo armato solo della sua videocamera e dei suoi sogni.

 “Il passaporto è la parte più nobile di un uomo” disse un uomo nei “Dialoghi di profughi” di Brecht. Settant’anni dopo, con notizie giornaliere sulla situazione dei migranti alle frontiere d’Europa, questa frase rimane di una disturbante attualità. Per quelli di noi nati dal lato “giusto” della frontiera, i muri invalicabili restano un’immagine remota. Ma per quelli dall’altra parte, come Abou, che hanno un passaporto maliano, le opzioni sono molto limitate. Quando le notizie sui massicci tentativi di superare le recinzioni di Melilla iniziarono a fiorire, nel 2014, fummo molto colpiti dalla determinazione della maggior parte degli uomini sub-sahariani sul Monte Gurugù. Senza curarsi dei numerosi fallimenti, o di quanto fossero dolorosi – sembravano semplicemente rialzarsi, scrollare via la polvere e ricominciare daccapo, verso il loro obiettivo. Certo non mancano storie sulle tragedie che accadono alle frontiere d’Europa. Ma la nostra impressione è che le immagini siano comunque poche. Una voce sembra sempre mancare: la voce delle persone coinvolte. Con l’obiettivo di sfidare l’immagine predominante del migrante, ci siamo per prima cosa confrontati con il nostro approccio da film-makers. Abbiamo deciso di assumere completamente il punto di vista del nostro protagonista, e lasciare a lui la decisione su quali aspetti filmare. Quindi abbiamo consegnato la videocamera ad Abou. Eravamo curiosi di vedere cosa avrebbe filmato, quali scelte estetiche avrebbe fatto, e come queste scelte si sarebbero conciliate con le immagini esistenti dei migranti. L’approccio di Abou inizialmente era differente dal nostro. Il suo scopo principale era raccontare al mondo della enorme ingiustizia che lui e i suoi amici stavano subendo a Melilla. Ma gradualmente filmare in sé si è trasformato per lui in una forma di espressione. Abou è passato dall’essere protagonista a co-regista. In conclusione, questo film è diventato anche un documentario sul fare un documentario.

Programmazione film
PROGRAMMAZIONE
TERMINATA