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I Miserabili

di Ladj Ly

Con Damien Bonnard, Alexis Manenti, Djibril Zonga, Issa Perica, Al-Hassan Ly, Steve Tientcheu, Almamy Kanouté.

Titolo originale Les Misérables. Drammatico (colore). Durata 100 min. Francia 2019 (Lucky Red)

I Miserabili

Prevendita disponibile su: https://www.bigliettoveloce.it/index.php?r=frontend%2Fsite%2Fsala&id=810

La rabbia dei Miserabili in rivolta. Valutazione 4 stelle su cinque

di Ashtray_Bliss

Risuonano oggi più che mai attuali le parole espresse da Victor Hugo che chiudono questo bellissimo ma dolente e realistico lungometraggioNon ci sono ne’ uomini ne’ erbe cattive, soltanto cattivi coltivatori. Un messaggio talmente essenziale e semplice che racchiude il significato del film girato dal regista Ladj Ly, anch’egli proveniente da una delle tante banlieue parigine, che tornano a far parlare di sè quando esplode la rabbia, la violenza, le sommosse. Uno stato dentro lo stato fatto di regole proprie, usi e costumi intrinsecamente legati coi paesi d’origine dei suoi abitanti, unificati dalla religione comune (l’Islam) e fomentati dal disagio nel quale versano. Ecco allora che ispirandosi alle vere rivolte nate dalle banlieues nel 2005 (ma in realtà non ne abbiamo mai smesso di parlare) il regista francese originario del Mali fotografa con amaro e vivido realismo uno spaccato di vita di Montfermeil, il quartiere povero e degradato nel quale si svolge l’azione della sua prima pellicola.
La storia ruota attorno ad un esiguo gruppo di poliziotti, incluso il neofito Stephane, col compito di pattugliare il quartiere in questione e tutto sembra procedere “normalmente” sin quando una progressiva escalation di tensione e violenza si verrà a instaurare a causa di un leoncino rubato da un circo ambulante di Rom. Evento che porta la polizia sulle traccie dei giovani abitanti del quartiere, incluso il piccolo Issa, l’autore del singolare furto. Ma l’episodio darà presto origine ad una tensione, crescente e già palpabile, tra abitanti e forze dell’ordine che sfocerà nella mezz’ora finale in una vera e propria esplosione di violenza e rabbia che sigilla l’amaro epilogo di questo crudo, realistico e teso thriller urbano.
Il regista mette così in evidenza e in discussione, senza prese di posizione scontate o schieramenti ideologici prevedibili, le ripercussioni e conseguenze dell’emarginazione sociale, del disagio, del senso d’ingiustizia subita da parte della popolazione di uno dei quartieri più violenti della capitale francese. Attraverso il registro asciutto e schietto che assume la pellicola, Ly, ci catapulta nel vivo di una realtà parallela, sporca, tesa, sorretta da scambi illegali, micro e macrocriminalità che godono del tacito appoggio della polizia locale in uno schema che sembra destinato a ripetersi ad oltranza, senza offrire una concreta via d’uscita dalla condizione di degrado che si traduce in forma mentale prima che materiale (difatti, gli abitanti non vengono mai esplicitamente descritti come poveri). La loro gabbia è in primis di natura mentale e sociale; un gruppo eterogeneo di ragazzi che cresce privo di aspirazioni e speranze, privo di valori sociali, orientamenti e guide, con gli adulti che sono i grandi assenti dall’educazione impartita loro. In questa giungla che nutre il senso di esclusione dal tessuto sociale francese alimentando risentimento e rabbia i ragazzi si sentono intrappolati all’interno di una sistema dal quale pare impossibile fuggire. Un mondo regolato dalle proprie regole dove ogni situazione nuova è potenzialmente pericolosa o esplosiva, specialmente quando la polizia si trova a dover pattugliare la zona giorno e notte.
Armato di coraggio e grande senso narrativo, mescolando egregiamente gli elementi a sua disposizione, inclusa una necessaria dose di ironia e humor specialmente nella prima parte del lungometraggio, Ly, cambia rapidamente registro enfatizzando il dramma sociale che sfocia in un vero e proprio thriller poliziesco, colmo di tensione e suspense negli ultimi minuti che precedono il finale. Un finale che benchè sia stato appositamente lasciato alla libera interpretazione non lascia grandi spiragli di speranza accesi negli spettatori. In fondo, tutto ciò che precede la chiusura era un lungo, lento, ma implacabile rito di iniziazione non esclusivamente alla violenza quanto alla ribellione, in un tentativo estremo e ingiusto di far sentire la propria voce e rivendicare i propri diritti quando tutti gli altri canali per farlo sembrano esauriti.
Ly, realizza così con taglio semi documentaristico un film di denuncia sociale che solleva riflessioni più che mai attuali su come il nascere, crescere e vivere in quartieri degradati e poveri promuova e inculchi un certo tipo di mentalità, specialmente nei più piccoli e giovani, i quali si sentono intrappolati in un mondo tanto vicino quanto distante e diverso da quello che la società impone e promuove. La violenza, la mancanza di aspettative, di fiducia nel futuro, di educazione rigenerano generazione dopo generazione gli stessi comportamenti sociali, gli stessi stereotipi, danneggiando irreparabilmente il loro futuro.
Il taglio realistico e duro dona verosimiglianza, nonostante venga scandito da passaggi che alleggeriscono il tono disilluso del racconto e garantisce il fluire della trama all’interno di questo universo tetro dove la tensione aumenta gradualmente sino a sfociare nel caos incontrollabile e implacabile del finale. Ancorato strettamente alla difficile realtà dei luoghi che egli stesso conosce bene, Ly, ci regala un dramma urbano serrato, violento e ancora più disperato, dove la disperazione si traduce nell’impossibilità di cambiare situazioni e schemi destinati a ripetersi. 
Intenso e memorabile, supportato da una straordinaria fotografia e regia, ruvida, verosimile e concreta e coadiuvato da interpretazioni intens
e. Da vedere e riflettere; 4/5.

 

UN FILM DAL MESSAGGIO CHIARO NASCOSTO DIETRO IL FUMO DELL’AZIONE E DEI LACRIMOGENI.

Montfermeil, periferia di Parigi. L’agente Ruiz, appena trasferitosi in loco, prende servizio nella squadra mobile di polizia, nella pattuglia dei colleghi Chris e Gwada. Gli bastano poche ore per fare esperienza di un quartiere brulicante di tensioni tra le gang locali e tra gang e forze dell’ordine, per il potere di dettare legge sul territorio. Quello stesso giorno, il furto di un cucciolo di leone dalla gabbia di un circo innesca una caccia all’uomo che accende la miccia e mette tutti contro tutti.

Ispirato alle rivolte di strada di Parigi del 2005 e ad altri fatti realmente accaduti, con I Miserabili il regista Ladj Ly, nato e cresciuto, anche come filmaker, nel sobborgo che racconta, espande l’omonimo cortometraggio in un film di grande impatto, tale da riportare alla mente L’Odio di Kassovitz, rispetto al quale misura anche la crescita frammentata ed esponenziale di certe realtà della banlieue parigina.

I Miserabili, che del grande romanzo popolare di Victor Hugo usa l’ambientazione e una didascalia finale, ma soprattutto incarna le preoccupazioni profonde, non conta un momento di troppo, ma contiene al suo interno tre film ben distinti.

Il primo, il prologo, è un film di finzione, nonostante la realtà delle immagini: la Francia multiculturale unita dal tifo per la nazionale di calcio in una gioiosa sintesi interetnica e interreligiosa. Poi c’è il secondo film: la vita di tutti i giorni, costruito come un teso film di genere, che intreccia la giornata dei tre agenti con quella del “Sindaco” e del suo braccio destro, impegnati a farsi strada come boss del quartiere, con gli affari dei boss locali dello spaccio, dei Fratelli Musulmani e del loro leader, Salah, schedato come pericoloso perché insieme ai kebab dispensa il suo pensiero, e poi con i gitani del circo e con i tanti ragazzini dei palazzoni popolari, come Issa, che ne combina una dietro l’altra, o Buzz, che col suo drone spie le ragazze e ciò che non dovrebbe.

Un film multifocale, nel quale il punto di vista del nuovo arrivato non coincide con quello dei due veterani della pattuglia, e nel quale dialogano senza saperlo lo sguardo orizzontale della polizia, che cerca di farsi strada nel labirinto delle gang, come in un mercato all’aperto, e quello dell’alto del drone, che diviene accidentalmente testimonianza, coscienza sporca, arma.

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